Voglio portare alla vostra attenzione un articolo che ho trovato su un forum bellissimo che sto frequentando http://nontogliermiilsorriso.org/forum/
Il tema di questo articolo è un tema che mi sta prendendo molto ultimamente ma non sono ancora pronta a parlarne con parole mie, quindi comincio a segnalarvi questo articolo ;O)
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Olivier Maurel: Un fatto curioso (All’attenzione dei sostenitori della non-violenza)
Un fatto curioso
(All’attenzione dei sostenitori della non-violenza)
di Olivier Maurel
Noi tutti che ci dichiariamo non-violenti, o sostenitori della non-violenza, dovremmo prestare attenzione a un fatto curioso.
Per decine d’anni, in generale fin dalla loro creazione, i movimenti e i giornali non-violenti non si sono affatto interessati alla prima violenza, in ordine cronologico, nella vita di ciascun individuo: quella che subiscono i bambini, fin dalla più tenera età, per mano dei loro genitori o educatori.
Non solo i maltrattamenti, ma anche la violenza educativa ordinaria delle sberle e delle sculacciate, alla quale ricorre il 90% dei genitori e che subisce il 90% dei bambini.
Molti continuano a non interessarsene, addirittura si sentono infastiditi quando si cerca di attirare la loro attenzione su questo argomento. Come se fosse ridicolo pensare che il fatto di picchiare i bambini nel momento in cui sono più sensibili, più malleabili, laddove il loro cervello è in piena formazione, abbia delle conseguenze nefaste sul loro rapporto con la violenza.
Perfino io, che sono convinto oggi che la violenza educativa sia una delle fonti principali della violenza degli adulti, ho dovuto attendere i miei cinquant’anni, trenta dei quali passati a predicare la non violenza, per rendermene conto leggendo il libro di Alice Miller “La persecuzione del bambino” (Bollati Boringhieri, Torino, 1987). Ed è davvero interessante chiedersi perché abbiamo manifestato questa indifferenza, questa ignoranza, questo rifiuto di prendere sul serio la violenza educativa come fonte della violenza.
La ragione è infatti molto semplice. Il bambino di un anno o due, che viene picchiato dai genitori che ama e da cui è del tutto dipendente, non ha alcun mezzo per giudicare ciò che subisce. Se lo si picchia, è perché è disobbediente, cattivo, malvagio, e perché se lo merita. Le botte che riceve lo fanno vergognare di sé stesso. Una volta cresciuto, potrà rivivere le violenze subite solo attraverso un sentimento di vergogna, e parlarne unicamente in tono scherzoso, o affermando che le botte ricevute gli hanno fatto un gran bene, o infine dimenticandosene del tutto. Ma gli sarà quasi impossibile rimetterle in discussione. E sarà convinto che non si possa allevare i figli in modo diverso.
Questo fa sì che anche se più tardi si opporrà alla violenza e predicherà la non-violenza, non gli passerà nemmeno lontanamente l’idea di stabilire il benché minimo rapporto tra la violenza contro cui combatte e le “buone sculacciate” o le “buone sberle” ricevute.
Quello che vale per i non-violenti vale anche, ben inteso, per tutti gli adulti. In qualsiasi opera sulle cause della violenza, è davvero raro vedere presa sul serio la violenza educativa, anche, bisogna sottolinearlo, nei paesi in cui il livello di questa violenza è molto alto, come ad esempio i paesi africani in cui la bastonata viene inflitta al 90% dei bambini, non per maltrattarli, ma “per il loro bene” [n.d.t.: l'autore fa qui riferimento al titolo in francese "C'est pour ton bien", ovverosia E' per il tuo bene del libro di Alice Miller La persecuzione del bambino]. D’altra parte, ben pochi specialisti di scienze umanistiche si interessano a questo argomento.
C’è voluta una rivoluzione di molti secoli perché i paesi europei cominciassero a prendere coscienza degli effetti nefasti della violenza educativa e perché il livello di tale violenza si abbassasse. Oggi, questa presa di coscienza si manifesta a livello delle più alte cariche internazionali (Comitato dei diritti del bambino dell’ONU, Organizzazione Mondiale della Sanità la quale a novembre 2002 ha pubblicato un rapporto sulla violenza denunciando i pericoli delle punizioni corporali), ma è ancora molto lontana dall’essere praticata dall’insieme dell’opinione pubblica, ivi compresa l’opinione pubblica non-violenta.
La riduzione del livello della violenza educativa è quindi una condizione essenziale perché la non-violenza cessi di essere minoritaria e si installi come un comportamento generale e permanente. Se non affrontiamo le cose come stanno e, più ancora che all’ingiustizia sociale, non ci opponiamo alla “violenza madre”, tutti i nostri sforzi nel predicare la non-violenza saranno per sempre sommersi dall’addestramento alla violenza subita “per il loro bene” dalla maggior parte dei bambini del mondo.
Mentre noi ci sforziamo laboriosamente di convincere, il più delle volte con scarsi mezzi, un numero piccolissimo di adulti, la violenza educativa trasmessa di generazione in generazione da parte dei genitori formerà alla violenza e alla sottomissione alla violenza intere schiere di bambini.
Traduzione di Chiara Pagliarini
Link al testo originale:
http://www.editions-harmattan.fr/index.asp?navig=auteurs&obj=artiste&no=...
a fine pagina, titolo originale: "Un fait curieux"
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mercoledì 4 agosto 2010
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